Formatosi sotto la guida di Luca Ronconi, il regista emiliano si racconta a Teatro.it: dal sogno impossibile di scrivere con Aristofane, a quello possibile di avere una compagnia teatrale.
Il regista Daniele Salvo è un collezionatore di reliquie teatrali. Costola talentuosa del Maestro Luca Ronconi, dopo essersi formato nella sua scuola ne diventa assistente, imprimendo nella sua indole il calco visionario e onirico del mentore.
In trent’anni di carriera ha esplorato il teatro dedicandosi ad ogni sostanza della drammaturgia. Come ogni animale del palcoscenico, esploratore dell’incognito, si è avvicinato al cinema dirigendo un’opera prima, GLI ALTRI di Michele Prisco. Naturalmente, senza mai perdere di vista il palcoscenico.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Dal teatro al cinema con la regia del film GLI ALTRI. Parliamo di quest’opera prima
La proposta mi è arrivata da Ida Di Benedetto, che conosce il mio lavoro teatrale e lo stima. La regia anni fa doveva essere di Bernardo Bertolucci, si era entusiasmato del testo ma stava già male e non si fece nulla. Per questo motivo la pellicola è dedicata a lui.
È stata un'occasione esaltante, avevo letto il romanzo e ho trovato che avesse il potenziale visionario e onirico sull'illusione dell'identità, in contrapposizione con l’oggi dove è tutto proiettato all'esterno, all’ego e all'apparire. Questo è un lavoro di vecchio sapore, ha i ritmi tarkovskyani, è stimolante perché ha delle parentele pirandelliane.
Come è stato il rapporto con i colleghi sul set?
Si è instaurato un bellissimo rapporto soprattutto con lo staff tecnico, con il direttore della fotografia Fabio Zamarion e il montatore Massimo Quaglia, persone che, ricordo, hanno collaborato con Tornatore. Ma devo dire di aver trovato tanti professionisti eccellenti, dallo scenografo agli attori. Non è stato un set facile, il personaggio femminile è una magnifica donna con dei conflitti per i quali era necessario trovare itinerari nuovi. Ma Ida Di Benedetto, come altri attori del passato, è tra le poche in grado di trattare il linguaggio necessario in una determinata maniera.
La regia cinematografica è differente da quella teatrale. Cosa è calzato a pennello e cosa non ti ha esaltato?
Mi è calzato a pennello perché si guida l'occhio del pubblico, si controlla. In realtà la macchina da presa è la protagonista, i movimenti e i carrelli fanno sì che l'aspetto tecnico diventi l'aspetto poetico. È stato invece un po' costrittivo lavorare sullo spazio, sui tempi stretti che per il cinema sono attinenza al budget, considera che abbiamo girato in quattro settimane. Non mi sono sentito a mio agio dovendo limitare i ciak perché ogni piccola modifica comporta tempo in più di lavoro. In sostanza, ho dovuto rinunciare a una serie di cose.
Quando uscirà nelle sale?
Tra settembre e ottobre verrà distribuito nei cinema d'essai, al momento è stato presentato al Bifest e all’Ortigia Film Festival.
A teatro invece sei in scena con LA PACE di Aristofane!
Si, è una produzione firmata dall’INDA, il testo è molto complesso, irrappresentabile nella sua originalità. Le versioni precedenti sono state fatte contaminando altre opere di Aristofane proprio per ovviare alla complessità e alle problematiche lacunose. Per me è una sfida che accolgo volentieri, il mio maestro Ronconi invitava sempre ad alzare l‘asticella E poi comunque parliamo di temi attuali purtroppo.
Ti verrebbe voglia di tornare indietro nel tempo e collaborare direttamente con Aristofane per la stesura del testo?
Mi sarebbe piaciuto tantissimo, tanto che all'interno dello spettacolo c'è un brano del coro che celebra Aristofane e la sua integrità nei confronti del teatro. Esponendosi denuncia i troppi favori, si definisce pazzo perché lui da persona seria dopo gli spettacoli non va in palestra a importunare i giovani ma se ne torna a casa (un chiaro riferimento alle abitudini di Socrate). Denuncia il mondo del teatro entrando in scena con forza e rivendicando la sua integrità.
Come per le epoche storiche, può valere in concetto di teatro pre e post pandemia?
Si assolutamente! Sicuramente si nutrivano grandi speranze, si pensava che la pandemia potesse essere un grande spartiacque contro le corruzioni, i consensi e dissensi decisi a tavolino, un'apertura dei gruppi della critica. Purtroppo è tutto peggiorato, oggi è molto difficile interloquire con i direttori dei teatri che sono in ascolto per ciò che è commerciale. Fortunatamente c'è un buon afflusso di pubblico, di persone che sono tornate a teatro. Inoltre, mancano dei referenti per i giovani attori delle scuole, non sanno a chi fare riferimento.
Con cosa vorresti sorprendere il pubblico?
Mi piacerebbe sorprendere il pubblico con tanti progetti che ho nel cassetto, di quelli che uno mette da parte del tempo. Mi piacerebbe promuovere progetti itineranti, lavorare sulla percezione dello spettatore.
Con cosa invece vorresti essere sorpreso?
Con l'attenzione ai progetti artistici, riuscire a formare una compagnia fissa di lavoro, proporre progetti nel tempo, costruire una casa artistica.
Da artista visionario a Nostradamus del teatro, quali visioni hai per il futuro del settore? Gradita la risposta in quartina!
(Ride) Non sono una persona ottimista per natura, adesso vedo che l'attenzione è spostata verso il commerciale, il generalista, a teatro si cercano i nomi di cinema e televisione. In Giappone ad esempio gli attori di lunga carriera sono dei tesori viventi, qui vengono gettati nel dimenticatoio.
Ricordo Albertazzi, gli ultimi anni non furono facili. Non morì povero ma nemmeno con il diritto che spetta a un attore di tale levatura. Oggi si segue la scia modaiola, il teatro di parola è cancellato. Non abbiamo più figure come Strehler e Ronconi, il grande teatro lo vedi a Londra o a New York. Peccato dover assistere a grandi spettacoli altrove… ecco in quartine potrei riassumere così:
L'Arte emula ed ê il miraggio
di un mondo che fu grande
L'onestà della finzione
ê ora altrove, oltre il mare